Ieri ho seguito con molta partecipazione l’ennesimo tentatio di “fare fisica” (come dicono gli stessi addetti ai lavori) con il mastodontico acceleratore e collisore di particelle che si trova tra – o meglio sotto – le Alpi di diversi paesi.
Dopo i due lunghi stop forzati, dovuti prima alla rottura di uno dei super-magneti (se non ricordo male) e poi del sistema di raffreddamento (complice un pezzettino di pane lasciato forse cadere da un uccello di passaggio), finalmente LHC è stato in grado di portare i flussi a 3.5 TeV (tera elettron-volt) ciascuno, allinearli, ed osservare numerosi e costanti fenomeni dovuti alle collisioni delle particelle ivi contenute.
Anche questa volta non tutto è andato perfettamente liscio, ma per fortuna si è trattato solo di un piccolo intoppo: circa un’ora di stop e si è ripreso. In un primo momento, infatti, a causa dell’accoppiamento elettro-magnetico che si è venuto a creare tra il sistema di generazione ed immissione dei flussi ed il circuito dell’acceleratore vero e proprio, i flussi non sono riusciti a raggiungere i 3.5 TeV previsti.